“C’è tanto di targa negli SPDC è inutile negare che i primi responsabili sono coloro che sono citati nella targa. Dimmi la verità: ti ricordi quando ti abbiamo tirato le mele? Tu che ci hai fatto, c’hai legato a tutti. Noi le tue mosche. E allora a reparto sei una mosca, puoi essere schiacciato solo perché dai fastidio, mosche che volano. Quando trovi il baratro è la morte e la mosca non vola più. Gli staccano le ali come negli esperimenti che voi perpetuate con i farmaci e poi senza ali è più facile ucciderti. Che mosca sono! Non mi nutro di merda organica, ma di merda inorganica e divento una mosca transgender ma senza istinti sessuali negati dai vostri additivi.”
Vivere in affanno e di stenti. Questo sembra riservare il nostro presente. Ritmi serrati di lavoro o alla ricerca di esso. Insicurezze di una quotidianità spesso intrisa dalla paura del domani. Priva di passioni, relazioni vere, affetti, piaceri. A tutto questo si aggiungono i paletti del come si deve essere, come ci si deve presentare agli altri, come si deve agire e comportare.
Hai un figlio che a scuola non ha un comportamento adeguato? Gli sarà diagnosticata la sindrome del deficit di attenzione e proposto un farmaco: Ritalin.
Sei perso tra grigi pensieri, soffocato dai problemi reali ed incapace a reagire? Sei un depresso e verrai trattato farmacologicamente: Prozac.
La tua realtà ti offre pochi spunti stimolanti e non vedi “luce” e poi magari improvvisamente torni a sperare e ad essere presente e vitale? Sindrome bipolare…sarai curato farmacologicamente: Litio.
Non ne puoi più di adeguarti, di subire, di sentirti un rassegnato, decidi che “basta!” e lo fai esprimendo la tua rabbia? Sei un tipo che soffre di paranoie e comportamenti psicopatologici…sarai trattato farmacologicamente: Haldol.
Non ti vuoi unire alla carovana collettiva verso qualsiasi luogo di santità, preferendo non avere alcuna mediazione nel tuo rapporto con l’entità divina e ci parli, quando dove e come vuoi tu? Allucinazioni… e sarai trattato farmacologicamente: Leponex.
Una donna viene stuprata o brutalmente ammazzata e non è responsabilità di chi ha agito quanto piuttosto un raptus di gelosia. In questi casi ecco che lo sguardo psichiatrico diventa alibi.
In tempi di crisi la paura e l’ostilità verso il diverso fa da collante e da capro espiatorio. La società capitalista, e quindi autoritaria razzista e maschilista, vede quei diversi in chi non si rassegna, in chi è portatore di altre culture, nelle donne che si arrogano il piacere di divenire soggetto e non più oggetto, in chi vive la propria peculiare sessualità.
Perché il contesto sociale e culturale perde qualsiasi rilevanza dal momento in cui si entra nelle maglie della psichiatria. Il contesto che determina le condizioni è irrilevante sia che la “cura” è obbligatoria (TSO = Trattamento Sanitario Obbligatorio), cioè a prescindere dalla tua volontà, sia che è basata sull’assunzione di farmaci, sempre più diffusi, portatori di effetti collaterali gravissimi e di assuefazione, quindi dipendenza.
L’espressione piena di se stessi inceppa, in una società fatta di paletti sempre più fitti, i meccanismi di produzione, riproduzione. Inietta fatali virus per il così detto “buon senso comune e civile”. Fa crollare le fondamenta di dettami morali funzionali all’asservimento.
Non molti anni fa l’omosessualità veniva trattata come malattia mentale. Oggi si prova a proporre una legge che renda l’anoressia passibile di T.S.O., nonostante le leggi del consumo impongano immagini pubblicitarie di corpi di donna taglia 36.
Ma della “follia” si ha paura. E’ la paura che ci fa prendere le distanze da chi viene definito “malato mentale”, definendolo altro da quel “noi” di cui si negano le complesse soggettive peculiarità.
E’ grazie a quella stessa paura che la psichiatria eserciterà il suo totalizzante potere sulla persona ormai isolata. Il suo giudizio, inoltre, ne cancellerà il vissuto attraverso la medicalizzazione.
L”industria psicofarmacologica è complice/fautrice di tale meccanismo sperimentando tecniche di ricerca sulla pelle di coloro che finiscono tra le maglie del potere psichiatrico. Ammantata così dalla legittimazione scientifica, la cosiddetta “malattia mentale” diviene fonte di ingenti profitti.
Gli individui divengono cavie da laboratorio, privati della possibilità di decidere della propria esistenza. Le sostanze psicoattive, utilizzate nella routine ospedaliera, compromettono in modo immediato e irreversibile le capacità di pensiero, immaginazione e volontà.
Con l’uso massiccio di sostanze psicotrope legalizzate, il potere psichiatrico si fa carico di spersonalizzare e categorizzare le diversità attraverso protocolli ospedalieri.
Devono essere rese invisibili le manifestazioni di conflitto interiore e/o sociale ritenute irrisolvibili da chi, in questo esistente di doveri e norme, stabilisce il concetto di “sanità mentale”.
Per questo, sempre più spesso, si sostituiscono o affiancano a letti di contenzione, cinture, polsiere e cavigliere le sostanze chimiche, apparentemente più umane e democratiche ma ugualmente violente poichè perpetuano gli stessi obiettivi di controllo e punizione sociale.
Nel solo mese di maggio 2016 ben 3 persone sono morte di TSO per non parlare dei tanti casi precedenti.
Per quante difficoltà del vivere possa avere una persona non possiamo non riconoscere che una società così atomizzata, attraversata da individui per lo più chiusi in compartimenti stagni, qualche responsabilità la abbia. Solo acquistando consapevolezza di ciò, prenderemo coscienza della dicotomia che c’è tra “cura” e “trattamento obbligatorio”.
Troviamo il senso dell’aver cura delle relazioni spogliandole della paura di ciò che giudichiamo “fuori controllo”.