Di pochi giorni fa è la notizia della morte di Jefferson Tomalà, un giovane 21enne di origini ecuadoriane, ucciso nel corso di un intervento effettuato dalle forze di polizia nella sua abitazione a Genova, a seguito di una chiamata da parte della madre del ragazzo, la quale ha chiesto aiuto perché Jefferson minacciava di togliersi la vita. Non è chiaro se le forze dell’ordine fossero intenzionate a contattare i medici per valutare la possibilità di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio); quel che è certo è che l’unica ambulanza arrivata sul posto ha potuto solo raccogliere la sua salma, perché un agente della polizia ha esploso contro Jefferson ben cinque colpi. Infatti gli agenti, una volta intervenuti, hanno spruzzato sul viso di Jefferson dello spray urticante: comprensibilmente questo gesto, anziché calmarlo, lo ha agitato; con il coltello che prima impugnava minacciando di uccidersi, Jefferson ha allora ferito un poliziotto e per questo viene ammazzato, colpito più volte, ad altezza d’uomo, davanti alla madre, in una stanza in cui erano presenti 8 persone e in cui magari sarebbe stato possibile operare in modo diverso per tutelare il poliziotto ferito senza sparare ripetutamente a Jefferson. Il Ministro dell’interno si è dichiarato “vicino al poliziotto” che ha ucciso Jefferson, il quale avrebbe “fatto il suo dovere”; il capo della Polizia Gabrielli ha anche annunciato che presto i poliziotti avranno in dotazione i Taser (le pistole elettriche).
La morte di Jefferson – perché, anche in assenza camici, è pur sempre la morte di una persona che aveva bisogno di calma e supporto, avvenuta per mano di persone che esercitano il proprio potere con forza e coercizione – ci ricorda ancora una volta quella di Mauro Guerra, ucciso con uno sparo da parte un carabiniere il 29 luglio 2015 a Carmignano di Sant’Urbano mentre cercava di fuggire per sottrarsi a un TSO, e quella di Andrea Soldi, strangolato su una panchina di piazzale Umbria dalle forze dell’ordine durante un TSO, il 5 agosto del 2015 a Torino. Per la morte di Andrea, si è concluso poche settimane fa il processo; sono stati condannati a un anno e otto mesi per omicidio colposo i tre vigili autori della cattura (Enri Botturi, Stefano Del Monaco e Manuel Vair) e lo psichiatra Pier Carlo Della Porta dell’Asl che ha richiesto il TSO Poco più di un anno e mezzo per aver ucciso un uomo. Basta fare un confronto con le pene di oltre 4 anni che lo stesso tribunale ha inflitto ad alcuni imputati NO TAV che si opposero alla distruzione di un territorio per un progetto inutile quanto oneroso. La psichiatria da anni teneva sotto stretto controllo Andrea, assoggettandolo alle sue cure tramite depot (la puntura intramuscolo bisettimanale o mensile). Tante volte Andrea aveva cercato di liberarsi da questa trappola, di riprendere in mano la propria vita e le proprie scelte: per questo aveva subito una decina di trattamenti obbligatori, fino all’ultimo che l’ha portato alla morte.
Il regime terapeutico imposto dal TSO ha una durata di 7 giorni e può essere effettuato solo all’interno di reparti psichiatrici di ospedali pubblici. Deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica. Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il Sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio, il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in cui il TSO sia rinnovato oltre i 7 giorni. La legge stabilisce che il ricovero coatto può essere eseguito solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni: l’individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, l’individuo rifiuta la terapia psichiatrica, l’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Subito ci troviamo di fronte ad un problema: chi determina lo “stato di necessità” e l’urgenza dell’intervento terapeutico? E in che modo si dimostra che il ricovero ospedaliero è l’unica soluzione possibile? Risulta evidente che le condizioni di attuazione di un TSO rimandano, di fatto, al giudizio esclusivo ed arbitrario di uno psichiatra, giudizio al quale il Sindaco, che dovrebbe insieme al Giudice Tutelare agire da garante del paziente, di norma non si oppone.
Per la persona coinvolta l’unica possibilità di sottrarsi al TSO sta nell’accettazione della terapia al fine di far decadere una delle tre condizioni, ma è frequente che il provvedimento sia mantenuto anche se il paziente non rifiuta la terapia. Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Molto spesso prima arriva l’ ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico e poi viene fatto partire il provvedimento. La funzione dell’ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza agli psichiatri.
Il paziente talvolta non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario); oppure può accadere che persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO.
A volte vengono negate le visite all’interno del reparto e viene impedito di comunicare con l’esterno a chi è ricoverato nonostante la legge 180 preveda che chi è sottoposto a TSO “ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno”.
Il TSO è usato, presso i CIM o i Centri Diurni, anche come strumento di ricatto quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l’ obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell’impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione. Per questo ancora una volta diciamo NO ai TSO, perché i trattamenti sanitari non possono e non devono essere coercitivi e affinché nessuno più debba morire sotto le mani di forze dell’ordine al servizio degli psichiatri.
La nostra più sincera e affettuosa solidarietà alla madre e alla famiglia di Jefferson.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa